Le reti erano in passato l’attrezzo in assoluto più utilizzato. Venivano principalmente realizzate dalle donne che riservavano gran parte del tempo a tali lavori, aiutate da uomini anziani divenuti inabili al lavoro.
La tessitura si svolgeva esclusivamente a mano, realizzando i nodi con due soli strumenti di legno: la cammarola, cioè una cannuccia, utilizzata per dimensionare la larghezza della maglia e la cuceddha, sulla quale erano avvolti alcuni metri di filo di cotone o di canapa.
Successivamente, a partire dai primi anni del ‘900, le reti venivano fornite da alcuni retifici del bresciano, ove era presente un distretto specializzato in questa produzione.
Per evitare un rapido deterioramento, le reti dovevano essere sottoposte alla concia, immergendole in una tintura ricavata dall’ebollizione, in acqua, della corteccia di pino ridotta in polvere.
Il tannino della corteccia, oltre a conferire alle reti ed alle lime un colore rossastro, le preservava dalla marcescenza dovuta al continuo e persistente contatto con l’acqua salata.
La concia doveva essere ripetuta almeno una volta all'anno, per ovviare alla scoloritura causata dal frequente uso.
Valorizacija
I fili necessari per le reti, così come le lenze per il palangaro, venivano filati in casa dalle donne, con la medesima tecnica adoperata per i fili dei tessuti, utilizzando conocchia e fuso. La fibra impiegata era la canapa più anticamente, il cotone più recentemente.
Il filato di cotone, cioè la tortiglia usata per le reti, aveva il nome di rovetta o ravetta.
Oggi le reti vengono lavorate prevalentemente con fili di nylon.